Facilitare il ritorno della natura selvaggia: una storia sul Rewilding in Appennino
#39 | Che cos'è il rewilding e perchè può far bene sia a noi che al pianeta?
Non importa chi sei, non importa con cosa devi lavorare, alzati ogni singola mattina e fai qualcosa che non ha niente a che fare con te stesso, ma che ha invece tutto a che fare con le cose che ami. Con le cose che sai essere vere. Sii qualcuno che immagina il progresso umano come qualcosa che ci porta verso l'interezza. Verso la salute. Verso la dignità. E sempre, per sempre, verso la bellezza selvaggia. - Kristine McDivitt Tompkins, ex CEO Patagonia, co-founder Tompkins Conservation
Nel 1996, sedici lupi provenienti dal Canada furono reintrodotti nel Parco Nazionale di Yellowstone, negli Stati Uniti, dove non si vedeva un lupo da quasi un secolo a causa della persecuzione per mano dell’uomo. In loro assenza cervi ed alci erano proliferati in modo esponenziale, compromettendo l’equilibrio della vegetazione, del suolo e la perdita di habitat per molti altri animali, in un effetto a cascata devastante per il territorio. A quel punto l'importanza di una specie chiave come il lupo nell'ecosistema di Yellowstone era diventata tangibile, tanto che il suo ritorno ha riattivato la rete della vita in modo straordinario. Ancora oggi infatti si narra di come quei lupi abbiano cambiato il corso dei fiumi. In che modo? Lascio un video in fondo per approfondire!
Ma il punto è che questa è solo una parte della storia.
Nonostante gli enormi benefici per il futuro della vita sulla terra, il ritorno della natura selvaggia è anche fonte di tensioni e conflitti, specialmente per chi la vive come una minaccia alla propria sicurezza e sussistenza, come gli allevatori e parte delle comunità locali. Come si riconciliano queste prospettive? Come si dà vita ad azioni di rigenerazione capaci di tenere assieme i benefici della biodiversità con una convivenza armonica tra esseri umani e le altre specie che, come noi, considerano questo pianeta la propria casa?
L’ho chiesto ad Angela Tavone, responsabile comunicazione di Rewilding Apennines, realtà nata nel 2013 con l’obiettivo di rendere l'Italia un luogo più selvaggio e generare nuove economie attraverso la connessione uomo-natura.
Abbiamo parlato di che cosa sia il rewilding, dei benefici per le piccole comunità a rischio di spopolamento, di storie di coesistenza andate a buon fine e dei principi da considerare per chi desidera portare la natura selvaggia più vicina a casa.


Il rewilding (rinaturalizzazione) è un processo di ritorno della natura nei luoghi dove la presenza dell’uomo ne aveva bloccato il naturale sviluppo. Un approccio progressista alla conservazione diventato sempre più popolare negli ultimi decenni perché, invece di concentrarsi sulla protezione di singole specie o habitat, facilita il ripristino di interi ecosistemi, ricongiungendo i fili spezzati nella rete della vita e consentendo così alla natura di tornare a prendersi cura di sé stessa.
Le pratiche possono includere la reintroduzione di specie chiave quando necessario, il ripristino di habitat naturali, come foreste e paludi, e la promozione della biodiversità attraverso la gestione delle specie invasive e la creazione di habitat idonei per la fauna selvatica.
In Appennino centrale da metà del ‘900 è avvenuto un rewilding spontaneo, lento ma graduale, dovuto alle migrazioni e all’abbandono delle pratiche di sostentamento legate alla montagna, dal taglio dei boschi ai pascoli. Dove l’uomo riduce la pressione la natura ritorna a guidare i suoi processi. Così l’orso marsicano, una sottospecie unica al mondo oggi a forte rischio di estinzione, sta pian piano tornando spontaneamente ad abitare quei luoghi dell’Appennino che costituivano il suo storico areale.
Con Rewilding Apennines quello che cerchiamo di fare è facilitare ciò che sta già accadendo, soprattutto dove vediamo che ci sono le condizioni per il ripristino. Perché se l’attuale popolazione di orsi bruni marsicani - che oggi si stima attorno ai 60 individui - è relativamente al sicuro all’interno dei parchi naturali della regione, al di fuori dei confini del parco è a rischio di bracconaggio, avvelenamento e incidenti stradali. Per non parlare dei conflitti frequenti con una parte della popolazione locale che ha problemi diretti legati ai danni agli apiari, ai frutteti e al bestiame e che ancora non beneficia economicamente della presenza degli orsi. - Angela Tavone, note 26/02/2024
Angela ha 40 anni e vive a Pettorano sul Gizio, un piccolo borgo di 1300 abitanti in provincia di L’Aquila, cuore della Riserva Naturale Regionale Monte Genzana Alto Gizio. Non si trova lì per caso. Dopo un percorso di studio tra Italia e Stati Uniti, dove ha approfondito modalità di coinvolgimento partecipativo delle comunità locali nelle attività di conservazione del paesaggio, entra in contatto con Salviamo l’Orso, un’associazione impegnata nella salvaguardia dell’orso bruno marsicano. Da quel momento l’habitat dell’orso diventa anche il suo.
Nel 2018 prende in mano le attività di comunicazione di Rewilding Apeninnes - corrispettivo in Italia di Rewilding Europe, non profit internazionale punto di riferimento del movimento di rewilding in Europa - convinta che siano fondamentali per colmare le distanze tra il mondo scientifico e il vissuto della gente nella quotidianità.
Nel 2014 a Pettorano sul Gizio un residente uccise a colpi di arma da fuoco un orso che si stava avvicinando al suo pollaio. Fu un episodio grave, che divise fortemente la comunità. In quel momento ci siamo resi conto che non solo dovevamo far riconoscere alla gente perchè davanti alla legge quell’atto costituiva un reato, ma dovevamo anche iniziare ad occuparci della percezione delle persone. Grazie a un grant di Patagonia abbiamo lanciato la “comunità a misura d’orso”: un progetto pilota per adattare all’Appennino buone pratiche di convivenza uomo-orso sperimentate in Nord America, dall'installazione di recinzioni elettrificate, alle misure di prevenzione degli incidenti, fino ai cassonetti a prova d’orso. Perché le persone non hanno paura dell’orso che vive sulle montagne, ma di quello che, per divenrse ragioni, scende in paese. Più si riducevano i danni più le persone capivano che c’era un modo per eliminare le perdite e ridurre le arrabbiature.
Poi nel 2015 abbiamo fatto partire un programma di volontariato residenziale con studenti stranieri. Nel corso degli anni decine di persone provenienti da tutto il mondo si sono avvicendate a cicli in media di 3 mesi a vivere qui, rianimando paesi afflitti dallo spopolamento, rimettendo in moto l’economia locale e contribuendo a diffondere il nostro lavoro all’interno della comunità scientifica. Tanto che oggi, grazie a un progetto LIFE, stiamo estendendo questo approccio ad altri 16 comuni dell'Appennino Centrale, per creare territori a misura d’orso anche in luoghi dove serve preparare le comunità ad avere a che fare con una specie così importante, ma anche così ingombrante!
La convivenza non è semplice, ma la prima grande trasformazione avviene quando le persone passano dal vedere i grandi predatori come un problema al considerarli una risorsa. Alla fine è questo che tutti i nostri interventi puntano a fare: generare la capacità di co-esistere, per far sì che la biodiversità che già abbiamo sia tutelata e che le comunità locali ne colgano i benefici, trasformando la paura in opportunità sia ambientali che economiche e culturali.
Pensa che adesso i piccoli esercenti ci chiedono di avere un programma di volontariato in ogni paese dell’Appennino Centrale!

Come si passa dal conflitto al prosperare insieme, esseri umani e fauna selvatica?
Angela mi spiega che quando la fauna selvatica ritorna, spontaneamente o come risultato della reintroduzione, comunicare e sensibilizzare non basta. Per promuovere una convivenza armonica uomo-animale, e assicurare sostegno alle attività di rewilding, occorre fare in modo che le persone traggano vantaggi anche economici dalla rinascita della natura.
Sicuramente è un processo lento che richiede anni e che deve partire prima di tutto dalla disponibilità delle persone ad aprirsi al fatto che il rewilding produce valore collettivo. È grazie alla ricchezza della biodiversità, garantita dalla presenza di una specie apicale come l’orso, che possiamo avere una qualità della vita così elevata. Le persone non associano questo beneficio alla diversità della vita, lo danno per scontato. Se invece avere una natura rigogliosa diventa un elemento prezioso, di cui essere orgogliosi, allora la relazione cambia, ti attivi per volerla difendere.
Ma la questione immateriale non basta, ci deve essere anche un ritorno economico. Ad esempio nel nostro team abbiamo persone che abbiamo chiamato “Bear Ambassadors” che si occupano di azioni di prevenzione dei danni causati dagli orsi. Costruiscono recinti elettrificati, quindi a prova di orso, che non pesano economicamente sugli allevatori e curano le relazioni con chi vive nella zona, informando, raccogliendo i bisogni e sensibilizzando sulla necessità anche per gli orsi di potersi spostare senza entrare in conflitto.
Altri membri del team si occupano invece di sviluppo dell’imprenditorialità. Aiutiamo piccole imprese locali basate sulla natura - dal turismo responsabile al cibo naturale - dandogli visibilità, creando relazioni, tessendo il legame col territorio e con i visitatori, in modo che queste imprese prosperino e chi ci lavora abbia un vantaggio dal restare in Appennino. Come Wildlife Adventures, una società con sede a Pescasseroli che offre escursioni, trekking e osservazione della fauna selvatica e che ha ricevuto un prestito da Rewilding Europe per ristrutturare un rifugio della zona. Oggi l’impresa impiega quattro persone locali, con guide extra assunte durante l’alta stagione turistica. Questi sono esempi di co-esistenza tangibili, che testimoniano che un modo diverso di vivere questi luoghi non solo è possibile ma anche remunerativo.
Angela Tavone, note 26/02/2024

Come vi sostenete e quali sono i principali ostacoli nel portare avanti le vostre attività?
Sostenuta da un mix di donazioni private canalizzate attraverso il network di Rewilding Europe, progetti europei e grant di aziende come Patagonia, Rewilding Apennines è passata in pochi anni da 2 a 14 persone retribuite. Oltre ai singoli finanziamenti, crea alleanze di scopo dove tutto l’ecosistema può crescere, come quella con un’agenzia di turismo responsabile inglese con cui organizzano esperienze di immersione nelle comunità a misura d’orso, coinvolgendo il tessuto produttivo locale.
Nonostante i benefici tangibili di queste iniziative, gli ostacoli e le frustrazioni più grandi arrivano dalla specie meno lungimirante e più restia al cambiamento di tutte: la pubblica amministrazione.
Ci sono comuni che hanno amministrazioni lungimiranti ma in generale è come lottare contro mulini a vento. Noi portiamo avanti l’obiettivo di tutelare la natura anche a beneficio delle persone. Ma vediamo spuntare progetti di ampliamento degli impianti da sci in un appennino dove non nevica neanche più…assistiamo a una politica cieca, che continua a proporre modelli estrattivi e distruttivi del paesaggio invece di promuovere visioni che tutelino risorse anche per le generazioni future.
Da qui a cascata ci scontriamo con una burocrazia pubblica pachidermica che ci sfianca, anche per ottenere i permessi più semplici, immagina nei casi più delicati. Quindi è difficilissimo e l’elemento di maggiore disagio è un approccio pubblico dall’alto, non tollerante. Con il rewilding non puoi tracciare confini rigidi o trincerarti dentro aree di competenza, la natura non funziona in questo modo. Serve guardare il mondo con gli occhi di altre specie, mettersi in ascolto, costruire alleanze ampie e tanta collaborazione.
- Angela Tavone, note 26/02/2024



Promuovere un’attività di rewilding: qualche suggerimento per partire
La scienza è unanime nel ritenere che esista una correlazione positiva tra il nostro senso di connessione alla natura, la nostra salute mentale e i nostri comportamenti ecologici. Ma coltivare la connessione con la natura, sentirsi davvero parte di essa, richiede di andare oltre il solo sforzo intellettuale, per costruire una relazione prima di tutto attraverso i sensi, le emozioni, la meraviglia, il prendersi cura.
Forse è per questo che le iniziative di rewilding si stanno moltiplicando, anche in contesti urbani, e sempre più persone sentono l’impulso di contribuire. Che si tratti di un piccolo giardino o di un vasto territorio da rigenerare, che cosa è utile tenere a mente se si vuole portare avanti un’azione di rewilding?
Non esiste un set predefinito di azioni da intraprendere. Dipende dal contesto, dalle intenzioni che hai, dalle dimensioni della tua terra, dalle caratteristiche del paesaggio, dalle attività dei tuoi vicini e molto altro.
In generale però ci sono dei principi che possono guidare questo tipo di interventi: coinvolgere il più possibile persone e comunità, studiare il territorio e lasciare che sia la natura a guidare gli interventi, cercare di creare opportunità per economie nuove e resilienti e impegnarsi affinché il proprio progetto di rewilding sia a lungo termine, a beneficio delle generazioni future.
Angela Tavone, note 26/02/2024
Per continuare a esplorare per immagini il fascino (e la complessità) di questo tema, qui tre storie: Come i Lupi cambiano i Fiumi, sugli incredibili effetti ecologici della reintroduzione del lupo nel parco dello Yelowstone; e l’altra prospettiva, quella del conflitto, raccontata nel reportage di Nicolò Barca e Tommaso Merighi: Sulle Alpi tornano i Lupi ma non tutti sono contenti.
E per finire il breve docufilm In Cammino con il Rewilding che racconta l’esperienza di rewilding in Appennino Centrale.
Questo post fa parte di Specie Custode, una serie che raccoglie piccole e grandi storie di rinascita e rigenerazione. Conosci persone o realtà che dovrei intervistare? Segnalalo a makinglife@substack.com
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