Ritorno alle origini: un viaggio nell'Amazzonia Peruviana
#36 | Storia di un incontro con piante sacre, sapere ancestrale, forme di cura, miti e leggende, contraddizioni ed ecologia.
Il 9 agosto 2023 sono partita per il Perù, dove un’amica d’infanzia stava organizzando un viaggio chiamato “Ritorno alle Origini” offrendo proprio il tipo di esperienza che cercavo: avvicinarmi alle cerimonie con l'Ayahuasca nel loro contesto naturale e conoscere da vicino la prospettiva delle comunità indigene, a cui oggi in occidente si fa sempre più riferimento quando si parla di benessere ed ecologia.
Per anni il pensiero era rimasto un pensiero. Cercavo informazioni ma erano sempre difficili da reperire. Come funziona una cerimonia di preciso? Dove posso sperimentare? Quali sono i pericoli? Sembrava tutto difficile, sempre avvolto in un velo di mistero.
Dicono che quando l’allievo è pronto il Maestro arriva. In parte è vero, ma è anche molto più complesso di così. Negli ultimi anni l’Ayahuasca ha guadagnato molta popolarità grazie a studi sempre più accurati sui benefici che porta alla salute, al benessere mentale, alla crescita personale. Questa visibilità ha contribuito a globalizzarne l’accesso. Oggi è molto più semplice entrare in contatto con questa forma ancestrale di cura.
Proprio per questo avvicinarsi in punta di piedi è indispensabile, non solo per non farsi male ma anche per evitare, nel cercare di stare meglio con se stessi, di generare ulteriori danni nell’ecologia del pianeta.
L’ICEERS - centro internazionale di etnobotanica tra i più all’avanguardia nello studio del rapporto tra società globale e piante psicoattive - calcola che solo nel 2019 quasi 1 milione di persone hanno partecipato ad almeno una cerimonia di Ayahuasca, con una stima di oltre 5 milioni di porzioni consumate.
Qual è l’impatto di questa domanda crescente sul delicato equilibrio tra comunità indigene, piante e territorio? Quali rischi si aprono per uno sfruttamento commerciale e decontestualizzato? Come si coniuga un accesso diffuso ai benefici di queste piante con la salvaguardia dei polmoni del mondo e delle comunità che per generazioni hanno sviluppato una conoscenza profonda sul loro utilizzo, grazie al radicamento locale e alla sensibilità per le interdipendenze che regolano la vita?
Volevo capirci qualcosa, vedere da vicino, vivere queste domande sulla mia pelle. Pensavo fosse questa l’intenzione del mio viaggio, ma al cospetto della pianta maestra ho scoperto che anche questo è molto più complesso di così…
Il progetto è durato 20 giorni, la prima metà nel centro di un vegetalista (il corrispettivo di uno sciamano nel linguaggio occidentale) e la seconda nel parco nazionale di Pacaya-Samiria, cuore dell’amazzonia peruviana. La proposta era esplicita: prima calmi il tuo sistema nervoso ed entri in contatto con te stessa, poi sei pronta ad ascoltare madre natura nella sua espressione più primordiale. E così è stato.
Quello che segue è il racconto di ciò che è accaduto e dell’effetto dirompente che ha avuto sul mio modo di stare al mondo e sulla qualità della mia vita.
Al tempo stesso è solo una storia, tra tante storie possibili. Se c’è una cosa che ho imparato per certo è che ognuno ha la sua medicina. Non emulate nulla di ciò che ho fatto io. Ma se qualcosa di questo racconto risuona, spero che condividerlo possa offrire qualche spunto per avvicinarsi a questo tipo di esperienze in modo consapevole e sicuro.
"La chiave per rivoluzionare i processi di guarigione collettiva non risiede nella rinascita delle sostanze psichedeliche, ma nella rinascita delle relazioni. La relazione con noi stessi, con gli altri, con i popoli indigeni e con la vita stessa.” Benjamin De Loenen
L’Ayahausca: partiamo da qui
L'Ayahuasca è una bevanda psicoattiva utilizzata nei rituali di popolazioni indigene del Perù, dell'Ecuador, della Colombia e del Brasile. Detta anche “liana dei morti” per il suo essere porta di accesso al mondo degli spiriti e degli antenati, è utilizzata per scopi cerimoniali e curativi da migliaia di anni e si prepara miscelando due piante in particolare: la liana Banisteriopsis caapi e foglie contenenti dimetiltriptamina (DMT) di varie piante, spesso della specie Psychotria viridis (nel nostro caso Chacruna).
Al di là della nomenclatura scientifica, la cosa sorprendente è che soltanto insieme queste due piante riescono ad indurre stati alterati di coscienza, visioni ed esperienze spirituali. Se prese separatamente il nostro corpo riesce a mantenere il controllo e disattiva l’assorbimento della DMT, la sostanza che produce le visioni. Per gli etnobotanici resta ancora inspiegabile in che modo i nativi dell’Amazzonia siano riusciti a scoprire che, tra le migliaia di piante della foresta e centinaia di specie diverse di liane, proprio le foglie di quella pianta lì, insieme al legno di quella specifica liana là, se ingerite insieme, producono effetti visionari e curativi.
Alberto, il curandero vegetalista che ci ha accompagnato nelle due cerimonie con l’Ayahuasca - così come Reynes, la nostra guida indigena nella riserva di Pacaya-Samiria e qualsiasi altro essere umano cresciuto in questi luoghi - sostiene che non c'entra nulla la sapienza umana, è stato lo spirito della pianta a guidarli, a insegnargli come fare. E’ un modo di vedere il mondo che spiazza, ma rispetto ai codici rigidi del pensiero occidentale, offre di certo più possibilità.
Abituarmi a questo tipo di risposte e provare a guardare il mondo da questa prospettiva è stato un passaggio fondamentale per dare senso all’esperienza che ho vissuto e riuscire ad integrarla con efficacia nel mio quotidiano.


L’incontro con la “liana dei morti”: la fase di preparazione
I primi tre giorni nel centro di Alberto sono dedicati a depurarci e a farci rallentare. La preparazione in realtà è iniziata alcuni giorni prima della partenza, con l’indicazione di seguire una dieta ristretta (niente carne, cibi piccanti, cibi acidi, zuccheri raffinati, alcool e caffè) per essere il più possibile “puliti” al momento dell’assunzione delle piante della giungla, il cui effetto può essere dirompente, sia a livello fisico che emotivo.
Per aiutare questa preparazione anche a livello mentale, ogni mattina all’alba ci veniva offerto l’estratto di Mocura, un’altra pianta molto diffusa nella selva che aiuta a calmare il sistema nervoso e, secondo la conoscenza nativa, protegge e dà forza, facilitando la connessione con noi stessi e con la Natura.
"Perché è così importante lavorare sul sistema nervoso? Senza accorgercene viviamo in uno stato perenne di alterazione che ci spinge il più delle volte in modalità di attacco, fuga o congelamento di fronte alle situazioni della vita. Senza un sistema nervoso rilassato è molto difficile entrare in quello stato di pace e sicurezza che ci consente di sentirci connessi e compassionevoli con noi stessi e con gli altri.”
Martina Caporaletti, Sacharuna Adventure - note di viaggio
La dieta di piante è diversa da come il mio background da bevitrice di tisane mi aveva fatto immaginare. Per niente semplice, né delicata. Piuttosto ti invade il corpo e te lo sconquassa, rompendo gli schemi irrigiditi per portare la sua medicina, il suo prezioso messaggio. Depurami - ho chiesto alla Mocura ogni mattina. E lei lo ha fatto con un'esplosione di fuoco, facendomi desiderare di non averla mai presa. Ma ogni volta dopo qualche istante arrivava la pace e riuscivo a percepire con molta più chiarezza la presenza delle cose attorno e dentro di me. Comunque la pianta è stata chiara: non sono io a guidare, non sono io che comando. Lei si dona e io in cambio la lascio lavorare.
La mattina del 12 agosto, mentre pestava con vigore nel mortaio la nostra dose quotidiana di Mocura que te lleva la locura - come diceva spesso ridendo - Alberto ha iniziato a raccontare la storia di quella volta che, all’inizio del suo apprendistato sciamanico, ha fatto un viaggio con una pianta molto potente e pericolosa, sconsigliatissima ai comuni mortali, ma che nel suo caso gli ha consentito di vedere con chiarezza il perché della sua vocazione.
Dopo due giorni di totale incoscienza, di cui non ricordo nulla, due grandi uccelli dal piumaggio lucente sono venuti a svegliarmi e mi hanno chiesto di seguirli. Volando accanto a loro osservavo le cime degli alberi più maestosi ondeggiare al vento e le forme sinuose del fiume Marañón tagliare come una lama luccicante lo sfondo verde scuro della foresta. Ma più ci allontanavamo, più i colori scomparivano e l’aria diventava grigia e irrespirabile. Una cappa di smog velava ogni cosa e i due grandi uccelli con occhi disperati supplicavano: guarda, guarda, non possiamo più vivere qui, ovunque è così!
A quel punto animali di ogni specie sono usciti dalla selva e mi hanno invitato a seguirli. Percorriamo migliaia di chilometri e ovunque vado assisto impotente alle innumerevoli ferite inflitte alla Terra e ai suoi abitanti. Montagne sventrate, foreste bruciate, immondizia ovunque. Arrivato ai confini con l’oceano trovo tre delfini ad aspettarmi, con la testa di pesce e le gambe umane. Lentamente ci immergiamo tra le onde e mi accorgo con stupore che sott’acqua riesco a respirare ma anche qui non mi serve a nulla, perchè nessun luogo, neanche l’angolo più isolato di mare, si è salvato dalla contaminazione.
Come è possibile che il mondo degli umani si sia addormentato così tanto da non sentire che tutto quello che facciamo alla Terra lo facciamo a noi stessi? La sofferenza, la paura, le angosce che ci portiamo dentro affondano le loro radici qui. Era questo che volevano mostrarmi, era questo che dovevo dedicarmi a curare.”
Alberto, Urku Chaqui - 12 agosto ore 7:00 | note di viaggio



Il centro di Alberto è un luogo piuttosto spartano a cui si arriva solo a piedi. Diverse palafitte in legno organizzate in cerchio attorno alla Maloca (lo spazio deputato alle cerimonie) fungono da cucina, da abitazione di Alberto e, poco più in là, cinque o sei posti letto per gli ospiti dove sono sistemati materassi e zanzariere. Da poco hanno aggiunto anche due bagni e una doccia in muratura. Tutto intorno il verde lussureggiante della selva, con i suoi odori, rumori, colori da togliere il fiato.
La notte prima della cerimonia con l’Ayahuasca la selva era in fermento e l’aria carica di suoni di un altro pianeta, ritmati dal tonfo incessante dei semi della pianta di Ojé che rimbalzando a terra scoppiettavano come un falò appena acceso. Mi sono svegliata di soprassalto pensando di aver sentito avvicinarsi un grosso animale selvatico. Il giorno che avevo aspettato per così tanto tempo stava per arrivare e io avevo paura.
Sapevo che con l’Ayahuascha non avrei perso totalmente il controllo e che avrei ricordato tutto, sia durante che una volta conclusa la sessione. Ma c’è qualcosa dentro di me che non trova pace. Mi rendo conto che non si tratta di una sensazione nuova, che in realtà è da tutta la vita che ho paura. Finalmente entro in contatto con la mia vera intenzione, con il vero motivo per cui sono qui. Quello che voglio dall’Ayahuasca è che mi insegni a non avere più così tanta ansia di stare al mondo e tornare a sentirmi libera di essere e mostrarmi per quello che sono…
Piove, a tratti gocce fitte e delicate come capelli, a tratti scrosci violenti come mareggiate. Non ci sono mezze misure nella giungla. Questo è un pensiero che mi sarebbe servito ricordare.
1° cerimonia | 13 agosto 2023, 19:30
"Uno sciamano è qualcuno capace di ripristinare ordine e armonia nella persona e nella comunità. Dove c'è una disfunzione, è capace di risincronizzare gli elementi della persona e del gruppo con la Natura e con il cosmo." - Vincent Ravalec
Nella maloca c’è buio pesto, fatta eccezione per la fiamma pulsante del sigaro del curandero, vestito in abiti tradizionali. Siamo in quattro e quando arriva il momento la luce di una pila mi illumina. E’ il segnale concordato, mi devo avvicinare. Con un gesto misurato Alberto mi allunga una piccola coppa di argilla, contiene la mia prima toma di Ayahuasca. Mi hanno consigliato di ingoiarla tutto d’un sorso, lo faccio e sento un liquido denso e scuro depositarsi velocemente con la nota acre dei rimedi medicinali. Istintivamente bisbiglio dentro di me:"fai ciò che devi, ma sii gentile”.
Per venti lunghissimi minuti, nulla. Quando inizio a temere che forse su di me non farà effetto, il fuoco del sigaro sfavilla di nuovo, inondandomi la vista di fumo. E’ stato allora che tutto è iniziato.
Ho percepito il pavimento muoversi sotto di me, prima molto lentamente, poi in un’ondulazione sempre più ampia, destra-sinistra, destra-sinistra…sempre più dolce, come…una culla…non appena mi accorgo di questa connessione un’ondata di amore assoluto mi travolge, con un'intensità pulsante, insostenibile, quasi un dolore. E’ troppo, è troppo tutto questo amore, come lo accolgo? Non era qualcosa che vedevo e non aveva sembianze nè forma, era piuttosto l’essenza dello spazio attorno a me, una presenza dolce come miele che entrava nella consapevolezza a partire dalla pelle. Sentivo che era amore prima ancora di saperlo, l'esperienza più autentica dell'essere vivi. Quando anche la mente ha accettato il messaggio, non ci sono stati più dubbi, più sconcerto, solo lacrime. Fiumi di lacrime incontenibili per lavare via tutta la tristezza, tutti gli sforzi fatti rincorrendo il pensiero di non essere abbastanza, di dovermelo meritare. Non c’è bisogno che tu faccia niente, vai bene così, lascia andare, sono qui.
Mentre mi immergo nell’enormità di questa comprensione, il paesaggio cambia di nuovo e mi ritrovo circondata da una moltitudine di forme organiche mentre ho la sensazione di sprofondare sempre di più dentro il terreno. In qualche modo la parte di me rimasta cosciente cerca di controllare l’esperienza per paura di non riuscire a respirare, mentre un freddo gelido mi ricopre la pelle. Non posso muovermi, non ho più un corpo, sono un pezzo di terra, un pezzo di bosco. Non opporre resistenza, lasciati andare. Posso sentire le radici degli alberi respirare per me e flussi di energia scorrere in tutte le direzioni, come fiumi in piena, mentre un caleidoscopio di forme e colori mi mostra la trama di cui sono un filo, unico, irripetibile, ma anche indissolubilmente intrecciato, dipendente da ogni altra cosa. Non voglio pià andarmene, sono un microcosmo brulicante di vita.
Quando tutto è finito, Alberto ci ha chiamati uno a uno per la cerimonia di pulizia e protezione. Mentre soffiava ampie boccate di tabacco dentro le mie mani tremanti chiuse a coppa ho sentito che niente, niente sarebbe stato più come prima. Che altro posso aver bisogno di sentire e vivere ora, dopo questa esperienza di amore e connessione così totale?


2° cerimonia | 15 agosto 2023, 19:30
“Love says I am everything. Wisdom says I am nothing. Between the two, my life flows.” ― Sri Nisargadatta Maharaj
Due giorni dopo ci prepariamo ad entrare nella seconda e ultima cerimonia prima della partenza per Pacaya-Samiria. La Maloca è densa di fumo e stavolta c’è un’energia tesa, quasi elettrica, mentre aspettiamo che arrivi il momento di partire.
Con ancora nel corpo le sensazioni della prima esperienza, non vedo l’ora che arrivi il mio turno, convinta di replicare la beatitudine. Che presunzione! E’ bastato poco per accorgermi che la pianta aveva altro in serbo per me e non prevedeva “essere gentile”.
Ingoio a fatica la mia razione e nel momento in cui il primo Icaro inizia a scaldare l’aria con le sue note ritmiche, sento la pianta ribollire dentro di me e la voce del canto mi arriva distorta, metallica, ostile. Cerco uno spiraglio di luce fuori dalla finestra e le stelle che avevano ispirato fiumi di parole solo qualche sera prima, ora mi restituiscono occhiate vuote. Mi sento isolata, separata da tutto, il mondo si frammenta davanti ai miei occhi come un piatto rotto, non c’è più senso, nessun messaggio, nessuna possibilità di connessione. Vedo pensieri ossessivi prendere forma, paranoie note sfilarmi davanti come vecchie conoscenze in cerca di attenzione. Mi seducono col loro richiamo - non devi fidarti! difenditi! All’improvviso mi sfiora il pensiero che non riuscirò a tornare indietro. Faccio spazio all’idea che sto impazzendo e non potrò più essere madre, essere figlia, dare e ricevere, sentirmi al sicuro. Essere viva, ma non provare niente. Come ho potuto mettermi in questa situazione!
La Maloca intrisa di fumo diventa claustrofobica e con la paura che mi esplode nel petto cerco a tentoni la porta per uscire. Martina intuisce e mi raggiunge con il secchio in mano, mentre la sua voce mi sussurra con forza “non sei la tua paura, trova il tuo centro, sai chi sei, torna li.” Di colpo mi tornano alla mente centinaia di ore passate sul tappetino della pratica yoga e l'insegnante che ripete “focalizzati sul respiro". E’ come se qualcuno mi avesse allungato la spada laser di Luke Skywalker mentre in preda a un’angoscia incontrollabile entro con lui nella grotta di Dagobah. E’ così che per un attimo la mente si calma e riesco ad arrendermi. Inginocchiata sulla terra nuda, con la faccia nel secchio, lascio che un oceano di paura e dolore, antico e non solo mio, possa trovare il modo di liberarsi ed uscire.
Quando torno al mio materassino, stravolta ed esausta, è appena partito un nuovo canto. Mi aggrappo alla musica come un naufrago all’unica zattera disponibile. Pensavo davvero di poter superare la paura senza abbracciare l’ombra e attraversarla? La mente si è placata ora e una voce dolce mi culla, il mondo è di nuovo un posto dove è possibile l’amore.
La fase di integrazione


Il giorno dopo, ancora scossa, chiedo ad Alberto come sia possibile aver vissuto con l'Ayahuasca due esperienze tanto diverse a distanza di così pochi giorni. Ride, come fa spesso, poi qualcosa nei suoi occhi si indurisce come al contatto con un ricordo lontano. Mi ripete con pazienza che la Pianta Maestra non è qui per raccontarci ciò che vogliamo sentirci dire, ma per offrirci la medicina di cui abbiamo più bisogno.
Mentre mi accompagna a fare un giro nel suo giardino, mostrandomi le piante e tutte le loro potenti funzioni, con le sue parole mi aiuta a dare senso all’esperienza che ho vissuto, in un modo che sia buono per me. Un processo che continuerà, sempre più profondo, quando lasciamo il centro per immergerci nella riserva di Pacaya-Samiria, un santuario di biodiversità nel cuore dell’Amazzonia Peruviana che dà protezione a specie rare a rischio di estinzione. Un luogo senza tempo, di una bellezza selvaggia, che ci ha offerto l’opportunità di contemplare ancora una volta la nostra piccolezza e al tempo stesso la nostra appartenenza alla totalità del creato.
La fase di integrazione è un momento fondamentale nella relazione con queste esperienze, specialmente per noi occidentali. Le culture native incorporano le cerimonie nel loro modo di vedere il mondo. Per loro leggere quello che accade durante il processo e come utilizzarlo per curarsi, è qualcosa di naturale. La metafora, il sogno, il mondo animico, parlano linguaggi tanto reali quanto i concetti più scientifici, non hanno bisogno di traduzioni.
Per noi è diverso. Non siamo abituati ad avere a che fare con l’energia e i messaggi di una mente liberata dai suoi filtri logico-razionali. Come posso allora raccoglierne gli insegnamenti in modo sano?
Ho percepito chiaramente che il potenziale trasformativo non deriva solo dalla pianta in sé, ma dall’alchimia tra tutti gli elementi che hanno dato forma alla coreografia dell'esperienza: noi con tutto il nostro bagaglio biografico e culturale, la Maloca, il ritmo ancestrale degli Icaros, l’odore del tabacco, la maestria dello sciamano, la natura pulsante dentro e intorno. La guarigione del singolo è attivata dalla sostanza, ma si radica nel rito, in un processo che coinvolge un’intera comunità.
E’ per questo che è molto importante informarsi a fondo prima di partire e, che sia in America Latina o in Europa, affidarsi a centri che prevedano setting adeguati, guide esperte e assistenza prima, durante e dopo l’esperienza.
A distanza di 4 mesi, che cosa è cambiato?
Noi non combattiamo per la Natura: noi siamo la Natura che difende se stessa - Manari Ushigua leader spirituale della comunità Sapara
E’ incredibile quanto sia stato profetico il post che ho condiviso prima di partire. Se dovessi riassumere cosa si è prodotto di buono in me grazie a questa esperienza è proprio questo: amarmi, dimenticarmene, e poi amare il mondo in modo viscerale.
Ma non lo sapevo già? Il mio corpo con pazienza risponde che no. Prima era solo un manifesto, un mantra, un auspicio. Ma quando serve davvero, non puoi capire come amarti. Non lo puoi sentire attraverso la riga di un foglio, un punto nella lista di un piano. Lo puoi solo esperire, esserne sopraffatto, viverlo a livello cellulare, in un magma che precede le parole. Credo sia questa ristrutturazione profonda che il viaggio con l'Ayahuasca e la situazione immersiva in un contesto nativo, mi hanno consentito di sperimentare.
A distanza di quattro mesi sento una sicurezza e un radicamento che prima di partire non c’erano. Non che tutto sia semplice, ma è cambiato il rapporto con ciò che mi sfida. L’effetto più evidente è che tutta l’energia che prima era spesa nel tenere a bada l’ansia permanente e i momenti periodici di depressione, ora è libera di fluire. Come in uno stato di innamoramento costante, sento più forte il legame con la vita.
Mentre i tasselli che danno senso all’esperienza piano piano vanno al loro posto, riesco a pensare pensieri prima impensabili, grazie a connessioni nuove. Il risultato non è che ho rivoluzionato la mia vita, ma è come aver trovato una postura nuova da applicare a tutto ciò che di buono c’è già, dove non serve sforzarsi per essere amati, dove non serve tradirsi per appartenere.
Durante i 5 giorni di permanenza dentro la riserva naturale di Pacaya-Samiria ho chiesto a Reynes, un ragazzo di trent’anni che con sua moglie da anni accompagna i visitatori dentro il parco, perché avesse deciso di diventare una guida. La sua presenza ha fatto la differenza nella profondità del mio viaggio. Nato nell’unica comunità indigena della riserva e poi emigrato in città, Reynes è mezzo uomo mezzo animale. Sa percepire la presenza di qualsiasi altra specie vivente a distanza di metri, conosce a memoria tutti i nomi e le proprietà curative delle piante, può percorrere chilometri nella giungla più fitta senza perdersi.
E’ grazie a lui che ho potuto fare il bagno nel Marañón nonostante i piranha e gli alligatori, andare a pescare di notte, attraversare tratti di giungla senza farmi male, raccogliere storie sui miti e le leggende della foresta, vedere da vicino i delfini, l'aquila mama vieja, il mono choro, tucani, tartarughe, bradipi, un pitone e soprattutto, nell’ultima uscita in notturna in canoa, un giovane giaguaro. Quando ci ha fatto cenno di tacere, un attimo prima che il fascio di luce della sua pila ne illuminasse il mantello lucido e il portamento regale, era buio pesto e il silenzio assoluto. Sotto il sorriso compiaciuto del suo scopritore, il tigrillo si è stiracchiato lentamente sul suo tronco, ci ha guardato fisso per un istante che mi è sembrato eterno, per poi tuffarsi di nuovo nel nero petrolio di una notte carica di stelle.
Ho invidiato l’intimità di Reynes con questi luoghi, la sua capacità di esserne parte come sei parte di una famiglia, di una casa. Per questo la sua risposta inizialmente mi ha molto spiazzato. Reynes ci ha raccontato che, come molti a Lagunas, prima di fare questo mestiere faceva il bracconiere. Entrava nella riserva di notte, armato, intrufolandosi da ingressi secondari e rischiava la vita cacciando illegalmente animali selvatici e centinaia di uova di tartarughe a rischio di estinzione.
Gli abbiamo chiesto con la voce incredula, spezzata, che cosa lo avesse convinto a cambiare.
Un giorno un amico, ex bracconiere pure lui, mi è venuto a cercare per dirmi che un animale vivo vale molto di più di un animale morto. Dovevo pur mangiare, ma quello morto lo vendo una volta sola al mercato di Lagunas, quello vivo centinaia di volte, a tutti i turisti che passano di qui. Questo mi ha dato il coraggio di smettere e propormi come guida. Poi, una volta che impari a seguire le tracce di un animale non per ucciderlo, ma per conoscerlo meglio e per mostrarlo a qualcuno, qualcosa dentro di te cambia e finisci per amarlo. Inizi a capire che il cibo nel tuo piatto, la tua vita stessa, dipende dal fatto che l'equilibrio non si rompa, che questo posto resti intatto, resti vivo.
Reynes, Pacaya - Samiria | 23 agosto - 22:30 | note di viaggio
Ascoltandolo mi è tornata in mente la mia seconda cerimonia con l'Ayahuasca. Prima che la mia mente potesse correre a tracciare linee nette tra bene e male, giusto e sbagliato, mi sono ricordata che conteniamo molti mondi dentro di noi, siamo moltitudini. Come Reynes, anch’io ho dovuto fare i conti col mio essere bracconiere nella foresta della mia vita, prima di poter tornare a sentire il senso di appartenenza, il filo che mi lega indissolubilmente alla trama dell’esistenza.
Del resto sono figlia di un lignaggio che tiene insieme pescatori e poeti, soldati e migranti, la povertà e il privilegio, la malattia mentale e la saggezza, il fallimento e la creatività. Tutto questo è parte di me, così come gli ingredienti nuovi frutto di scelte inedite che mescolandosi mi rendono chi sono. Posso scegliere che storie raccontarmi, posso scegliere che storia diventare.
Non ho trovato tutte le risposte, ma le piante mi hanno insegnato il valore di intenzioni chiare e l’importanza di lasciare un’intercapedine tra me e l’azione. Quando tutto attorno a me chiede risultati e velocità, loro mi hanno mostrato il vantaggio di rallentare.
Sono stata spesso impaziente nella mia vita, pensando che i momenti in cui stavo ferma fossero una perdita di tempo, un intervallo che allontana dalla possibilità di dimostrare che ho uno scopo e quindi un valore. Ultimamente mi siedo spesso vicino alla finestra ad osservare il fazzoletto di terra spoglia che a primavera, grazie ai semi che ho piantato, forse potrò chiamare “giardino”. E’ immerso in una stasi che sembra non produrre nulla, non ha niente di tangibile da offrire.
Eppure quanto accade di invisibile prima che il seme raggiunga la superficie? Quanto amore, quanta energia, quanta vita?
Per approfondimenti sulle implicazioni di Ayahuasca e psichedelici sulla salute e sul rapporto con le tradizioni native il mio punto di riferimento è l’ICEER, centro internazionale di etnobotanica con sede in Europa tra i più all’avanguardia nello studio del rapporto tra società globale e piante psicoattive: https://www.iceers.org/
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