Come ritrovarsi quando ci si perde
#16 | Dagli insegnamenti di un'alba sulla spiaggia alle lezioni di Rachel Carson sulla meraviglia, un antidoto per affrontare l'inquietudine e ritrovare direzione e serenità.

Quando è suonata la sveglia, alle 4 del mattino, ho subito pensato che fosse un errore. Ci dovevano essere modi più pragmatici, decisamente più razionali, di affrontare il disorientamento e l’ansia per le incertezze del futuro, che infilarmi in un bosco in attesa del sorgere del sole.
Ma del resto l’alternativa era restare a fissare il soffitto, sperando che dal muro uscisse un piano in grado di fornirmi risposte durature. Una strategia che mi ha sempre lasciato a mani vuote, stremata, come quelle mosche che si ostinano a non voler distinguere la differenza tra il vetro e il cielo. Per questo questa volta, alla fine, ho scelto il cielo.
Era un giorno come un altro di agosto. Lasciata la macchina sotto un lampione fioco, in un parcheggio deserto, iniziammo a camminare lungo uno dei sentieri sterrati che dal Monte Conero scende verso il mare. Nello spazio liminale tra la notte e il giorno, il buio di un bosco è una soglia liquida, densa come metallo fuso. Per essere attraversata richiede lo stesso coraggio di un tuffo dallo scoglio più alto, l’immersione in apnea in un'altra dimensione.

Eravamo in tre e trattenemmo il fiato…Ma il silenzio non durò che un istante. Ad interromperlo non era stato solo il tamburellare impazzito dei nostri cuori, braccati da fantasie di creature feroci, ma anche il crescendo ritmico di una moltitudine di voci, figlie di una macchia mediterranea che di notte brulica di vita.
Mentre il vento da nord spargeva ovunque l’odore pungente degli allori, l’eccitazione per quell’avventura rendeva le nostre gambe scattanti e agili lungo la discesa ripida, fatta impervia dalle piogge torrenziali del giorno prima. Non vedevamo altro che il pulsare delle lucciole, ma in qualche modo sentivamo di essere accompagnati anche dalla presenza astuta del tasso e della volpe, dagli occhi penetranti del gufo e dalla forza elegante del falco pellegrino, che in queste zone ha scelto di tornare a nidificare.
Quando finalmente il sipario degli olmi e dei pini lasciò spazio allo sciacquio della spiaggia, col suo orizzonte ornato di cremisi, arancio e oro, ogni cellula del mio corpo era così elettrizzata e presente da mandare in corto circuito ogni contatto col futuro, con quell’ansia di avere piani certi e credibili che mi aveva angosciato solo qualche ora prima.
Immersa in quello spettacolo in cui tutto sembrava seguire con sicurezza un suo istinto, una sua particolare funzione, mi sono ricordata di essere anch’io una forma in movimento, un animale tra altri animali. Che nelle sensazioni del corpo, con tutti i sensi accesi, sanno riconoscere la forza di attrazione del prossimo passo, il richiamo irresistibile verso ciò che li fa sentire più vivi.
Rachel Carson, distillando la saggezza di una vita spesa a testimoniare l’importanza di una maggiore connessione tra gli esseri umani e il mondo che li circonda, in Brevi Lezioni di Meraviglia, scriveva:
Se avessi un qualche influsso sulla fata buona che veglia sul battesimo di tutti i nuovi nati, chiederei che il suo dono per ogni bambino del mondo fosse un senso di meraviglia così indistruttibile da durare tutta la vita, come antidoto infallibile contro la noia e il disincanto degli anni futuri, la sterile preoccupazione per cose che sono artificiali, l’alienazione dalle sorgenti della nostra forza.
Coloro che vivono tra le bellezze e i misteri della terra, siano essi scienziati o persone comuni, non saranno mai soli. A dispetto della contrarietà e delle preoccupazioni dell’esistenza, i loro pensieri sapranno trovare strade che conducono all’appagamento e a un rinnovato entusiasmo nei confronti della vita.
Quando il disorientamento e l’inquietudine vengono a bussare alla mia porta adesso è questa la prima cosa che faccio. Mi immergo in un bosco e attendo il richiamo.
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