Foreste commestibili e il metodo del non fare
#38 | La storia di Onorio Belussi e del paradiso terrestre di Adro
Ho incontrato Onorio Belussi in una gelida mattina di gennaio ad Adro, piccolo paese della Franciacorta, regione della Lombardia nota in tutto il mondo per le suggestive colline ricoperte di vigneti. La sua storia mi ha reso un pò più attenta a non rubricare troppo in fretta un paesaggio come “naturale” e più sensibile ai codici necessari per valutarne la vera bellezza.
Abbiamo parlato di Food Forest, agricoltura del “non fare”, paradisi terrestri, stili di vita orientati a stare bene e le rivoluzioni che servono per realizzarli davvero. Oltre ad altre cose che vi racconto qui.



Onorio ha 82 anni e nel 1989 ha dato vita a quella che oggi è conosciuta come la prima Food Forest italiana, o paradiso terrestre, come preferisce lui.
Nato nel 1942 in una famiglia contadina, nella casa più antica del comune di Adro, crescendo si accorge che il mondo contadino sta scomparendo e decide di abbandonare i campi per cercare lavoro altrove.
Finché nel 1987, tra gli scaffali di un ufficio della cooperativa di sementi per cui lavorava, trova il libro che avrebbe cambiato la traiettoria della sua vita. Era “La rivoluzione del Filo di Paglia” di Masanobu Fukuoka (1913-2008), agricoltore e filosofo giapponese, ideatore di un metodo di agricoltura in grado di invertire la spinta degenerativa della coltivazione moderna. Tra le pagine di Fukuoka, Onorio capisce che la fatica che l’aveva indotto ad abbandonare la terra era evitabile e che, instaurando un rapporto di collaborazione con la Natura, si potevano ottenere più produzioni con minor fatica e costi.
Nel 1989, a quasi cinquant'anni, Onorio compra ad Adro 3.000 mq di terreno agricolo coltivato in modo tradizionale e inizia a coltivarlo col metodo naturale del "non fare", per dimostrare con i fatti che Fukuoka ha ragione.
La Foresta Commestibile di Adro


Il paradiso terrestre di Onorio spicca nel paesaggio di Adro come un ciuffo ribelle in un territorio addomesticato. Un fazzoletto selvaggio con alberi e piante belli da vedere e buoni da mangiare, che convivono con piante e piccoli animali selvatici. Un tripudio di colori, sapori e biodiversità che contrasta con l’ordine asettico e artificiale dei chilometri di viti che lo circondano, che ora mi appaiono come soldati costretti in ranghi nudi, composti e ripetitivi.
Una foresta commestibile è un sistema che ispirandosi alle dinamiche che regolano il funzionamento di un un bosco selvatico, consente di produrre col minimo sforzo e senza chimica una grande varietà di frutta, verdura e piante aromatiche durante tutto l’anno, in quantità sufficiente a soddisfare i bisogni di cibo sano e legna da ardere di chi la coltiva. E’ un approccio che si sta diffondendo sempre di più in Italia e nel mondo, anche in contesti urbani, come forma di produzione capace di riavvicinare gli esseri umani a una vita in armonia con la Natura.
Le declinazioni nella pratica variano a seconda delle scuole di pensiero, diverse a seconda del grado di progettazione con cui l’essere umano interviene nella relazione con i luoghi. Nel caso di Onorio la progettazione è minima, se non inesistente, fedele all'insegnamento originario di Fukuoka che parlava di “agricoltura del non fare”. Per Onorio la food forest richiede un livello di fiducia totale, un affidarsi completo, sapendo che siamo solo piccoli archi, di cerchi più grandi che non ci è dato capire, meno che meno controllare.
Che cosa significa “non fare” e che risultati produce?
In un’epoca in cui l’attivismo sembra essere una risposta inevitabile per chi ha a cuore le sorti del pianeta, l’attaccamento di Onorio a questa filosofia del “non fare” mi incuriosisce. Gli chiedo di approfondire.
Il mondo naturale è troppo complesso per essere affrontato con interventi lineari. Prendiamo l’agricoltura ad esempio. Noi cerchiamo di intervenire per aumentare la produzione e debellare i problemi, ma così facendo non creiamo altro che effetti collaterali. Cerchiamo di contrastare gli effetti collaterali ed ecco che vengono fuori problemi ancora più gravi. Per questo la conclusione a cui era giunto Fukuoka era che si dovesse disturbare la Natura il meno possibile ed eliminare tutte le azioni inutili che si compiono di solito coltivando. Da questa visione derivano 5 principi che guidano l’azione: non arare il terreno; non concimare; non usare insetticidi; non potare le piante; non togliere le infestanti.
In questo modo la Natura ha tempo di rigenerarsi, partendo non dalla produzione ma dal suolo. Quelle che in genere consideriamo infestanti, in realtà sono piante pionere, hanno il compito di fertilizzare il terreno e renderlo ospitale per altre piante. Se la Natura ha deciso che certe piante dovessero nascere lì, posso fidarmi di lei e collaborare, chiedendomi come vedere quelle ‘infestanti’ come risorse. Ad esempio, se hai un campo tutto pulito non ci sono le condizioni per insetti come le coccinelle per nascondersi, svernare durante l’inverno e uscire in primavera a mangiare gli afidi che attaccano le piante. Ed ecco che devi prendere altri provvedimenti, rompendo il ciclo vitale.
Gli chiedo che cosa significa foresta commestibile: è un campo o è un bosco?
Praticamente il paradiso terrestre si presenta come un bosco, ma coltivato.
Il grosso del mio lavoro è distribuire i semi e la sostanza organica lungo il sentiero e il taglio delle piante da usare come legna. Se non voglio che diventi completamente bosco agisco quel tanto che basta da non farlo diventare di nuovo un campo. Occorre conoscere bene il luogo in cui sei per sapere quando intervenire e quando no e affinare competenze che non hanno a che fare col ragionamento o con la forza, ma con l’osservazione e l'intuizione. E’ la Natura che ti insegna, tu non sai niente, ti abbassi, diventi umile. Quando ti rendi conto che tu, come essere umano, non hai il potere di far crescere e fruttificare niente, che solo la Natura può farlo, allora sai che la mentalità del controllo serve solo a fare danni. Invece l’agricoltura che facciamo oggi lavora al contrario, imponendo, e fa un sacco di fatica. Il tema è che ci vuole il tempo che ci vuole, non possiamo avere fretta.
Oggi è difficile convincere un agricoltore a cambiare prospettiva, a vedere i campi come luoghi selvatici che puoi rendere belli da vedere, buoni da mangiare e che diventano anche un posto dove rigenerarsi, filosofare e stare bene, contribuendo a produrre un microclima e molto altro.
Realizzare un paradiso terrestre tecnicamente non è difficile. Lo scoglio più grande che puoi incontrare è la tua mentalità, la tua visione del mondo.
._._.
Si può vivere di agricoltura naturale?
Onorio si definisce un coltivatore della domenica, la food forest per lui non è mai diventata un lavoro a tempo pieno, per scelta.
Tuttavia, vista la portata rivoluzionaria del suo approccio, in tutte le interviste che gli hanno fatto alla fine la domanda è sempre arrivata inevitabile: si può generare un reddito con i prodotti di una food forest e su che scala? Non resisto e glielo chiedo anch’io.
Io mi sono sempre mosso per dimostrare che il metodo funziona, ma non ci sono ricette preconfezionate da scalare, le risposte sono tante quanto le persone al mondo. Occorre prima di tutto chiedersi: perché lo voglio fare? Dove vivo? Che tipo di vita desidero? Sono disposto a farlo a tempo pieno o è amatoriale?
In generale posso dire che l’agricoltura naturale è universalmente applicabile. Le piante sono sempre cresciute senza l’intervento umano e continueranno a farlo. Finchè non ti convinci che è così non puoi produrre con questo metodo. Poi serve studiare per capire come meglio accompagnare la natura per la parte che vuoi coltivare, condurre una ricerca anche storica delle piante autoctone da inserire, e fare esperimenti. Infine aspettare.
Le piante selvatiche che dopo alcuni anni produrranno frutta buona le puoi lasciare, riprodurre e vendere. Se vuoi seguire le richieste stagionali del mercato puoi fare degli innesti. Puoi chiederti che cosa vuole la gente del posto e orientare il giardino in quella direzione. Sapendo però che la Natura è lenta, non segue i nostri ritmi frenetici del tutto subito in qualsiasi stagione, ma alla fine fa tutto. E i costi che hai per produrre sono quasi pari a zero!
Così ti resta un sacco di tempo libero per tutto il resto delle cose che vuoi fare.
Guardare alla produzione agricola in questo modo è anche un invito a reinterpretare l’economia, gli stili di vita e i riferimenti culturali di ciò che definiamo “successo”. Del resto Fukuoka sosteneva che il compito dell’agricoltura non è di far crescere dei prodotti (a quello pensa la Natura) ma di elevare la nostra spiritualità. Se coltiviamo paradisi terrestri il terreno torna ad essere ricco e noi con lui. Pensa che benessere, che rivoluzione!
._._.
Gli ostacoli e le soddisfazioni
Il distacco tra la campagna desolata e il suo bosco è palpabile, come entrare in un’altra dimensione. Ci immergiamo in un silenzio che ronza di linguaggi non umani, mentre Onorio ci invita a non uscire dai sentieri che ha tracciato perchè fuori da lì, anche se non sembra, è tutto seminato. Un gatto selvatico appare dal nulla, si intrufola tra i cespugli e ne esce con un topo tra i denti, come se il bosco gliel’avesse fatto trovare apparecchiato.
Mentre ci spiega il funzionamento del suo minuscolo ecosistema, come un moderno Galileo Onorio ci mostra una nuova cosmologia, dove il nostro corpo non è che un frattale del corpo più grande della Terra, che per lui funziona esattamente come noi. Combinando osservazione, scienza e potere evocativo della metafora, riesce a farci entrare nel suo pensiero come solo la poesia sa fare, non spiegando, ma rendendo visibile e maneggiabile l’assonanza invisibile tra noi e il mondo.
Gli chiedo che cosa gli ha dato più soddisfazione, negli anni passati ad imparare come essere un buon custode per questo suo giardino-foresta.
La crescita personale e poi aver realizzato un’idea. Vengo da una tradizione contadina, di concretezza, non potevo restarmene a fare solo filosofia. L’ho messo in pratica, l’ho realizzato, senza altro scopo che fare qualcosa che sentivo e ritenevo giusto.
All’inizio mi davano per matto e poi piano piano hanno iniziato a capire. Ma seguire le mie idee fino in fondo capisco che è difficile. Offro un cambio di prospettiva radicale.
Un giorno è entrato un contadino a raccogliere chiodini. “Ma non puoi raccoglierli nel tuo campo, con tutti gli ettari di viti che hai?” - gli ho chiesto con provocazione. Ovvio che non può, non cresce nessun chiodino nei filari delle sue viti, non c’è biodiversità.
In questi quarant’anni in molti sono venuti a visitare questo posto, anche agricoltori della zona, e siccome in giro per l’Italia in tanti parlano di me, allora stanno zitti. Ma in generale fanno fatica a cambiare. Questo approccio rivoluziona tutto, mette in discussione il modo in cui viviamo in tutta la filiera agricola e non solo, scombina interessi, toglie l’appiglio del controllo, del sapere tutto. Spaventa.
Per chi è stato abituato per generazioni ad addomesticare il suolo e le piante e ad utilizzare fertilizzanti e prodotti chimici, il suo messaggio suona come eretico e non viene capito. Ma l’opera di divulgazione di Onorio ha la stessa natura della sua foresta. E’ un seminare paziente, che non pretende nulla, ma lancia semi lasciando che i suoi visitatori li facciano germogliare altrove. Prima di tutto, spera, nei propri cuori.
Se qualcuno mi avesse chiesto, prima di leggere Fukuoka, se fossi stato disponibile a coltivare la terra, avrei detto di no. Non sarei mai tornato a fare quel tipo di vita, tutta quella fatica, usando animali e tecnologie. Solo quando ho letto Fukuoka ho capito, ma perché la mia testa era pronta a riceverlo, avevo già fatto tante esperienze.
Non faccio battaglie per imporlo come modello, piuttosto semino. Come fa la Natura. Come fa crescere le piante lei? Usa il vento, l'acqua e le persone. La mia storia è un seme. Tu che la racconti magari sei il vento.
Nessuna preoccupazione mi segue, perché non so che cosa accadrà tra un minuto, un'ora e un giorno. Non mi faccio prendere troppo dallo sconforto per chi non mi ascolta, piuttosto semino paradisi terrestri, il mio e quello che può germogliare nel cuore delle persone attraverso le mie storie. Tutti possono fare qualcosa.
Quando è ora di andare gli offriamo un passaggio, ma lui fa un cenno deciso di diniego con la mano, preferisce andare a piedi. Mentre lo guardo allontanarsi senza fretta, lungo il sentiero che tagliando la campagna lo riporta in paese, mi viene in mente la storia di Jean Giono su quel vecchio pastore che, zitto zitto, per anni, ha piantato querce e faggi dove c’era solo un deserto. E così facendo, senza saperlo, aveva cambiato le sorti di un intero paese.
“Quando penso che un uomo solo, con le proprie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole. Ma se metto in conto quanto c’è voluto di costanza nella grandezza d’animo e d’accanimento nella generosità per ottenere questo risultato, l’anima mi si riempie d’un enorme rispetto per quel vecchio contadino che ha saputo portare a buon fine un’opera degna di Dio. - Jean Giono, L’uomo che piantava gli alberi”
Questo post fa parte di Specie Custode, una serie che raccoglie piccole e grandi storie di rinascita e rigenerazione. Conosci persone o realtà che dovrei intervistare? Segnalalo a makinglife@substack.com
Grazie per leggere Making Life! Se questo post ti è piaciuto condividilo con qualcuno che ami. Se te l’hanno inoltrato iscriviti per ricevere gratuitamente tutti i nuovi post.